Imprese, così gli shock energetici minacciano innovazione e investimenti
Gli shock energetici comprimono la capacità di investimento e l’innovazione delle aziende in Europa. A lanciare l’allarme è un’analisi della Bce che indica come un aumento dell'1% dei prezzi dell'energia, dovuto a shock petroliferi come avvenuto in questi anni, determini una diminuzione della spesa per investimenti in capitale fisso del 4,1% dopo un anno, mentre la spesa per ricerca e sviluppo (R&D) diminuisce dell’1% a due anni dallo shock.
Nel report si ricorda come i prezzi dell'energia all'ingrosso in UE abbiano iniziato ad aumentare in modo significativo nella seconda metà del 2021. E poiché l'UE importa quasi tutto il petrolio e il gas che consuma, è fortemente esposta alle fluttuazioni dei prezzi sui mercati globali, che possono essere influenzati dagli sviluppi geopolitici e strategie di produzione di Paesi terzi. I prezzi si sono impennati in parte a causa della ripresa dell'attività economica dopo la pandemia ed in parte a causa delle limitazioni nell'offerta di petrolio e gas. La situazione è stata esacerbata dall'invasione russa dell'Ucraina nel 2022, che ha fatto salire ulteriormente i prezzi del gas e del petrolio. A questo si è aggiunta l'impennata del gas naturale che ha avuto, a sua volta, un effetto domino sui prezzi dell'elettricità.
Ma chi è stato più danneggiato in UE? La Bce spiega come i soggetti più colpiti siano le imprese operanti nei settori ad alta intensità energetica. In questi comparti in particolare gli shock energetici, che tradizionalmente esercitano pressioni al ribasso sugli investimenti, possono avere ripercussioni in termini di calo della produttività e di perdita della competitività a livello internazionale. Le industrie ad alta intensità energetica comprendono settori come la chimica, i metalli, il cemento e il vetro che pesano per circa il 45% dell'elettricità, del gas e del petrolio utilizzati dalle industrie dell'UE.
Con la ripresa della corsa dei prezzi dei beni energetici nel 2025, i rischi sono evidenti per le filiere italiane. In queste settimane decine di imprenditori del settore siderurgico e la stessa Confindustria hanno parlato di emergenza nel nostro Paese sottolineando come in Italia il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso sia pari a 108 euro al megawattora, il 72% in più che in Spagna e il 38% in più che in Germania. Un danno nell’immediato per la competitività delle imprese, ma anche sul lungo termine perché con costi aumentati dall’anno scorso di oltre il 40% la prima reazione delle aziende, come ben racconta il report Bce, è chiudere il rubinetto degli investimenti.