Crisi dell’auto, come è nata e cosa rischia l’Italia
Non si arresta la crisi dell’auto in Europa e in Italia. Con conseguenze importanti sull'occupazione del Bel Paese. Secondo un'indagine di Alix Partners per il tavolo dell’automotive al Ministero delle Imprese e del Made in Italy sarebbero già 25mila i posti di lavoro a rischio in Italia nel settore dell’auto e a breve, senza un recupero dei livelli produttivi, i posti a rischio potrebbero salire a 50 mila. L'annus horribilis 2024 si chiuderà infatti con meno di 500 mila veicoli prodotti. Una situazione che sta spingendo i sindacati a manifestare e annunciare scioperi nelle fabbriche. A fine ottobre in 20mila hanno sfilato a Roma sfilano contro Stellantis, erede della Fiat e della francese Peugeot, che in Italia conta circa 86 mila dipendenti e che proporrà un piano di tagli ed esuberi.
La crisi, va detto, non è solo italiana. Sono in grossa difficoltà anche i colossi europei che hanno avuto un ruolo chiave nell’industrializzazione del vecchio continente. Si pensi alla Volkswagen, che potrebbe chiudere per la prima volta nella storia due stabilimenti.
Tra i fattori che incidono sulla crisi c'è certamente la corsa all'elettrico da parte delle case produttrici, accelerato anche dallo stop al motore endotermico imposto dall'Ue entro il 2035, a cui non è seguito il decollo del mercato anche per scarsa lungimiranza della politica. Incide poi il costo dell’energia (che in Italia è tra i più elevati) e che ha intaccato i bilanci dei produttori. C'è poi la Cina. Pechino ha sovvenzionato per tempo le aziende che ora sono una generazione più avanti in termini di tecnologia. Si pensi alla filiera delle batterie o alle infrastrutture di ricarica oltre ai nuovi modelli appena lanciati sul mercato. La conseguenza è lo sbarco di auto elettriche made in China in Ue a costi fin troppo competitivi. La differenza di prezzo si aggira oggi attorno al 20%. Per tutelarsi l'Europa ha introdotto una serie di dazi sulle auto del Dragone, nel dettaglio dal 17 al 35% per i prossimi 5 anni, ma si tratta di un palliativo quando ancora in Italia, come in Europa, manca la domanda.