Crisi del mar Rosso, l’impatto sulle aziende italiane (e i danni ad oggi)
Ammontano a 8,8 miliardi, 95 milioni al giorno, i danni per il commercio estero italiano accumulati tra novembre 2023 e gennaio 2024 a causa della crisi nel Mar Rosso. Lo rileva Confartigianato che ha calcolato l'impatto del calo di traffico di navi mercantili tra l'Oceano Indiano e il Mar Rosso sui flussi dell'interscambio commerciale dell'Italia con Asia, Oceania, paesi del Golfo Persico e del Sud-est dell'Africa. In particolare, negli ultimi 3 mesi, l'Italia ha perso 3,3 miliardi, pari a 35 milioni al giorno, per mancate o ritardate esportazioni e 5,5 miliardi (60 milioni al giorno) per il mancato approvvigionamento di prodotti manifatturieri. In attesa che entri nel vivo la missione Aspides - voluta dal Consiglio Affari Esteri dell’Unione europea sulla spinta di Italia, Francia e Germania – per garantire la sicurezza del traffico mercantile nel Mar Rosso, dall’ingresso dello Stretto di Suez fino allo Stretto di Hormuz, per le aziende dello Stivale i danni restano rilevanti.
Confartigianato ha calcolato anche l'impatto sulle esportazioni delle regioni italiane: «Il valore più alto di prodotti trasportati via mare attraverso il Mar Rosso è quello della Lombardia, pari a 12,9 miliardi, seguita da Emilia-Romagna con 9,4 miliardi, Veneto con 5,7 miliardi, Toscana con 4,7 miliardi, Piemonte con 4,2 miliardi e Friuli-Venezia Giulia con 2 miliardi».
«L’escalation della crisi in Medio Oriente – ha avuto modo di sottolineare il presidente di Confartigianato Marco Granelli – penalizza il sistema del Made in Italy e l’approvvigionamento di prodotti essenziali per la trasformazione della manifattura italiana, aggravando la frenata del commercio internazionale. Gli effetti della crisi del Mar Rosso, sommati alla stretta monetaria in corso e alla riattivazione delle regole europee di bilancio, potrebbero avere pesanti conseguenze sulla crescita economica italiana. È indispensabile mettere in campo tutte le misure, a cominciare dall’attuazione del PNRR, per alimentare la fiducia e la propensione a investire delle imprese e scongiurare il rischio di una frenata del ciclo espansivo dell’occupazione».