Cuneo fiscale e salario minimo, le proposte sul tavolo
Nonostante le turbolenze legate alla caduta del governo Draghi, due temi legati al mercato del lavoro restano sul tavolo dell'esecutivo: il taglio al cuneo fiscale e il salario minimo. Sul primo fronte dopo mesi di dibattiti tra le parti sociali, l’ipotesi è un taglio a tempo di circa un punto sul cuneo fiscale per i redditi fino a 35 mila euro. La soluzione è in discussione e potrebbe essere inserita già nel Dl Aiuti bis a cui sta lavorando il governo Draghi, in carica «per gli affari correnti» dopo le dimissioni del presidente del Consiglio. Il 27 luglio Draghi ha incontrato le parti sociali e ha illustrato le novità del decreto da 14,3 miliardi in approvazione la prossima settimana. L'ipotesi di lavoro sul cuneo fiscale è di natura temporanea e sarà poi il nuovo governo, uscito dalle elezioni del 25 settembre, a valutare se confermare la misura in legge di Bilancio.
Si tratta di una misura che non soddisfa appieno né i sindacati né Confindustria. Come ricordato dal presidente Carlo Bonomi in una recente intervista: «Sul cuneo contributivo proponiamo da tempo un taglio strutturale, per 2/3 a vantaggio dei lavoratori sotto i 35 mila euro. Per coprirlo le risorse ci sono: nel Def viene stimato un extra gettito fiscale di 38 miliardi di euro. E ricordo che si può riconfigurare una spesa pubblica pari a oltre 1000 miliardi all’anno». Per il leader della Cgil, Maurizio Landini, la priorità è aumentare il netto in busta paga per lavoratori e pensionati, con un taglio del cuneo però tutto a vantaggio dei lavoratori, e attraverso i rinnovi dei contratti collettivi nazionali. Un’esigenza condivisa anche dagli altri leader sindacali tra cui Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri.
Sul salario minimo invece le posizioni sono diverse. Qualche settimana fa il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha avanzato una proposta alle parti sociali: prendere come salario minimo il Trattamento economico complessivo (Tec) dei contratti maggiormente rappresentativi, settore per settore. «Basterebbe una norma semplice di recepimento di questo principio. L’effetto sarebbe alzare il livello dei salari più bassi», ha detto il ministro. Per il numero uno di Confindustria Bonomi il salario minimo però non è urgenza italiana: «L’Italia è tra i pochi Paesi virtuosi a più alta copertura di lavoratori cui si applicano contratti di lavoro nazionali. Il salario minimo per legge è rivolto ai Paesi che hanno una quota elevata di lavoratori scoperti. Per altro i settori in cui ci sono salari bassi non sono quelli dell’industria dove i Ccnl anche nelle categorie più basse garantiscono un salario superiore a quello minimo». Dice Luigi Sbarra, da segretario generale Cisl: «Crescita salariale e contrasto al lavoro povero vanno affrontati con più investimenti, relazioni industriali e contrattuali più efficaci, la piena applicazione dei contratti e più controlli sui luoghi di lavoro. Derive ideologiche e salari legali non porterebbero benefici: si rischierebbe invece di alimentare il sommerso e di allontanare dalle tutele dei buoni contratti collettivi milioni di lavoratori, schiacciando verso il basso anche le retribuzioni medie. La proposta del ministro Orlando è una buona base. Ma va rafforzato ed esteso settore per settore il trattamento economico complessivo (Tec) dei contratti più diffusi, quelli confederali». Su questo punto Confindustria guarda piuttosto al Tem, il trattamento economico minimo, applicato dal giudice già oggi in caso di controversia sul mancato rispetto costituzionale di una retribuzione "giusta" al lavoratore.