Delisting e aziende, è davvero iniziata la fuga?
La Borsa ha perso appeal per le aziende italiane? La domanda sorge spontanea se si guarda ai numeri delle quotate del Bel Paese. Dal 2002 le società ammesse alla quotazione sono state 448, ma i delisting sono stati 336 di cui ben 268 nel listino principale. Le ragioni di questa grande fuga da Piazza affari sono diverse. Tra chi è uscito dalla Borsa circa 50 società lo hanno fatto perché è stata chiusa l'attività mentre le altre uscite sono dovute ad acquisizioni, riorganizzazioni o cambiamenti di strategia aziendale. A mettere in fila i numeri del fenomeno è un report di Intermonte e del Politecnico di Milano, “Sliding Doors: il flusso di listing e delisting sul mercato azionario di Borsa Italiana (2002- 2021)” che aiuta a capire il perché della fuga. Si pensi che solo nell’ultimo anno hanno lasciato il listino fra le altre CreVal, Ima, Massimo Zanetti, Astm, Techedge, Cft ed Elettra Investimenti.
Ma perché le imprese fuggono dai listini? Per i ricercatori non è una questione di performance. Limitando il tempo di osservazione agli ultimi dieci anni, la ricerca evidenzia che le 300 imprese italiane entrate in Borsa (63 su listino principale e 237 su Egm, ex Aim Italia) hanno in realtà aumentato il volume d’affari sia prima sia dopo la quotazione. In più «nell’arco dei dieci anni si osserva un rendimento assoluto mediamente positivo sia per il listino principale (si arriva a +31,7% dopo 3 anni) sia per Egm (+20,0%). Al netto del rendimento dell’indice di mercato, si evidenzia che le ‘matricole’ di MTA/EXM sui 3 anni successivi rendono in media il 22,6% in più, mentre quelle del listino non regolamentato conseguono un rendimento differenziale pari a +6,2%».
Al di là dei casi di acquisizione o fallimento, nel report si parla del cluster delle aziende “Pentite” degli ultimi 10 anni ovvero quelle realtà che hanno fatto volontariamente delisting (43 casi). «La scelta del delisting - si legge - arriva dai soggetti controllanti ed è maturata sulla base di considerazioni strategiche discrezionali, che sfociano in una richiesta volontaria di delisting, di solito per le small cap, o la fusione con un’impresa non quotata dello stesso gruppo, un'Opa finalizzata a ritirare le azioni». Il flusso delle “Pentite”, fanno notare i ricercatori, è aumentato negli ultimi anni, con 8 casi nel 2021, 3 nel 2020 e 7 nel 2019 (stesso numero nel 2018). Sono poi molto poche le aziende che nell’ultimo decennio sono uscite per decisione autonoma dal listino entro pochi anni dall’ingresso: la maggioranza ha preso questa decisione dopo almeno 10 anni di esperienza, se non dopo almeno 20. «In questo cluster osserviamo un trend di decrescita dei ricavi consolidati appena prima del delisting e anche gli utili nell’anno prima della cancellazione dalla quotazione segnano il passo. Sul listino principale il valore mediano dell’EBITDA margin è stabile, mentre su EGM osserviamo una marginalità in miglioramento».
Il fenomeno dello ‘spopolamento’ dei listini borsistici non è in ogni caso una prerogativa italiana. Si osserva anche in altri mercati come, ad esempio, negli Usa dove le società residenti quotate a New York al 31/12/2001 erano 5.685 mentre al 31/12/2021 erano 3.784. «A Londra siamo passati da 2.355 a 1.654; a Parigi da 983 a 737 (ma con un aumento di quelle presenti sul listino principale); a Francoforte da 867 a 630; peraltro, solo in Italia e in Regno Unito il peso della capitalizzazione di Borsa sul PIL è inferiore oggi a quello che si registrava 20 anni fa», concludono i ricercatori.