Pmi, il salto 4.0 ancora manca (ma può fare la differenza)
Se non digitalizzi rischi di finire fuori mercato. Questa una delle lezioni più dure che le piccole e medie imprese italiane hanno appreso durante quest'anno e mezzo di pandemia. Colmare il gap d'innovazione non è però semplice: occorre puntare sulla specializzazione digital e trovare sul mercato profili con competenze adatte. Fronte sui cui le pmi devono ancora fare molto. A dirlo è una recente indagine del Politecnico di Milano che mette in evidenza come il 42% delle pmi dichiari di possedere competenze digitali basse (17%) o distribuite in maniera non omogenea tra il personale (25%). Il che significa che anche se l'azienda investe in nuove tecnologie la loro implementazione è resa difficile dal fattore umano.
Il problema è quindi la messa a terra dell’innovazione, una difficoltà esacerbata dalla crisi pandemica che ha tracciato una linea tra chi ha saputo rinnovarsi e chi no. Le aziende che implementano processi di digitalizzazione sono infatti quelle che crescono più rapidamente e capaci di creare occupazione. Secondo i risultati della Ricerca «Skills Revolution Reboot», presentata da Manpower al World Economic Forum, l’86% dei datori di lavoro che hanno accelerato il processo di trasformazione digitale assumeranno contro un 11% che prevede di ridurre o mantenere fermi i processi di innovazione.
I dati messi in fila dal Politecnico aiutano poi ad inquadrare quali sono le criticità delle aziende che non hanno fatto il salto 4.0. In primo luogo il problema è l’accessibilità dei dati e delle informazioni al di fuori delle sedi aziendali, che è stata raggiunta completamente solo dal 3% delle piccole e medie imprese. Non va meglio se si guarda alle piattaforme digitali: solo il 36% delle pmi è dotato di un Erp aziendale che integri le viste derivanti dai diversi processi, con un preoccupante 33% che non conosce la tecnologia o non ne prevede l’introduzione. Il tema è anche la ritrosia alla condivisione dei dati che rallenta il passaggio ai sistemi cloud. In genere le piccole imprese mantengono i dati sui server aziendali con costi di gestione maggiori e appena il 12% ha progetti che sfruttano i big data.
Solo il 37% delle imprese utilizza poi soluzioni avanzate di cybersecurity. Un arretratezza che espone, peraltro, anche i piccoli a rischi informatici e proprio nell’anno in cui gli attacchi hacker si stanno intensificando. Si pensi solo al caso della brasiliana Jbs, tra i maggiori fornitori di carne al mondo, che ha pagato 11 milioni di dollari di riscatto in bitcoin a una banda di hacker russi. O all’attacco informatico che ha colpito Campari l’anno scorso.