Dai servizi cloud alla fattura elettronica, se la maturità digitale delle Pmi è un miraggio
Pmi digitali (o quasi). Secondo una recente survey dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano la stragrande maggioranza delle imprese italiane ha intrapreso un percorso di evoluzione digitale, imparando a conoscere i nuovi strumenti tecnologici oggi a disposizione. Se si guardano i dati però ci si accorge che appena un’azienda su tre ha effettuato una valutazione della propria preparazione digitale, la cosiddetta ‘digital readiness’. Un fattore quasi del tutto ignorato dalle piccole e medie imprese.
L’Osservatorio ha infatti analizzato lo stato dei progetti di Industria 4.0 di circa 600 realtà valutando la maturità digitale dei processi in termini di capacità di esecuzione, monitoraggio e controllo, organizzazione e utilizzo di tecnologie ICT. La conclusione? La maturità digitale delle grandi aziende è nettamente superiore a quella delle pmi in ogni dimensione e in ogni processo analizzato, con uno scostamento di almeno 0,5 punti sulla scala dei cinque livelli di maturità digitale. Ma quindi ha davvero senso parlare di maturità digitale delle Pmi? Per Domenico Navarra CEO di StudioBoost S.r.l., partner tecnologico di SCOA, è ancora presto per usare questo termine. «Le aziende italiane sono molto indietro rispetto a quelle europee. Basta pensare che fino a qualche mese fa la maggior parte delle nostre pmi non aveva un sistema gestionale per il ciclo di fatturazione».
La normativa però ha accelerato l'evoluzione. «L’introduzione della fattura elettronica è stata un game changer nel processo di innovazione delle pmi ma occorre lavorare sulla formazione delle persone». Dai manager agli operai passando per gli amministrativi. «Per fare un esempio persino Microsoft e Facebook hanno dovuto fare un investimento in formazione in Italia sull’ICT. E questo perché non riuscivano a vendere alle nostre aziende i loro servizi dalla pubblicità sui social al cloud». ll rischio per le piccole imprese è poi acquistare le tecnologie adatte ma non avere dipendenti in grado di usarle. «Noi abbiamo circa 60 mila pmi clienti sulla nostra piattaforma per la fatturazione elettronica. Di queste appena 10-12 mila hanno deciso di avere la reportistica con i dati sui clienti, i fornitori e le statistiche delle vendite. Quasi come se non fossero dati utili, informazioni strategiche da interpretare per migliorare il business», aggiunge Navarra che parla di differenze regionali marcate. «Permangono anche enormi differenze sull’innovazione tra Nord e Sud ma anche nelle diverse città ci sono scarti evidenti».
E il problema riguarda anche la preparazione dei consulenti aziendali e dei commercialisti. «Molto spesso - dice Navarra - non sono in grado di supportare l’azienda perché non hanno competenze ICT di alto profilo. E questo si spiega anche guardando alla dimensione degli studi, in genere piccoli e con poche possibilità di investire in innovazione e formazione». Ecco perché una strategia per le pmi può essere affidarsi a società terze ad esempio nella gestione dei dati. «Pensiamo al Gdpr - sottolinea Navarra -. Per le imprese affidarsi a una società esterna che offre servizi cloud porta un vantaggio implicito. Smarcarsi dalla responsabilità del trattamento che viene così affidato a terzi. Peccato che pochi imprenditori ne abbiano coscienza». La sfida per il futuro? «Coaching su misura di pmi, andare azienda per azienda a spiegare vantaggi e opportunità della tecnologia. Anche per questo stiamo per lanciare un sistema Erp che sia formativo per chi lo usa. Un modo per portare nozioni nuove nelle pmi e scardinare il concetto del ‘si è sempre fatto così’».