Aziende familiari, pianificare la successione può salvare il business
Da una parte i padri dall’altra i figli. Il passaggio di testimone tra generazioni in azienda è da sempre un momento delicato nella storia di un’impresa. Una fase che implica un confronto tra tradizione e innovazione, tra passato e futuro, e su cui incidono in maniera significativa i legami affettivi tra i familiari. Ed è quest’ultimo fattore quello da non sottovalutare. Secondo i dati dell’Osservatorio AUB, l’elemento emotivo può essere un grande ostacolo all’avvio del processo di ricambio al vertice. Con un danno non da poco in termini di fatturato. Specialmente se si considera che in Italia le aziende familiari sono l’85% del totale (dato Aidaf) e si concentrano principalmente nel settore Manifatturiero.
Un dato a cui se ne aggiunge un altro: considerando 10 mila aziende familiari italiane con fatturato superiore ai 20 milioni di euro, il ricambio al vertice è stato caratterizzato da un tasso annuo inferiore al 2 per cento. Segno che le vecchie generazioni sono restie a cedere il passo. «Le ragioni sono molteplici - spiega Filippo Palmieri, avvocato e responsabile dei servizi legali di Scoa - sicuramente incide la differenza di visione tra le vecchie e le nuove generazioni. Nella nostra esperienza di consulenti vediamo che le prime puntano in genere a consolidare la posizione aziendale mentre le seconde sono interessate a conquistare nuovi mercati. E poi c’è la questione delle competenze, non sempre i padri hanno fiducia nelle capacità gestionali dei figli».
Se è vero come si legge nell’ultimo censimento ISTAT che ben il 18,2 per cento degli imprenditori ha dichiarato la “necessità” di effettuare un passaggio generazionale nei cinque anni successivi. È anche vero che le successioni nel quinquennio 2011-2016 si fermano al 10 per cento. Non è raro infatti che la decisione di lasciare i vertici dell’impresa venga ritardata dai padri. Il primo effetto di questo atteggiamento conservativo si vede guardando l’età degli amministratori delegati italiani nei family business. In più di dieci anni il numero di aziende guidate da leader ultrasettantenni è cresciuto arrivando al 25,5 per cento, più di una su quattro, con un impatto negativo sulla redditività e sulla crescita dei ricavi. «Una situazione ovviamente problematica per un’impresa che dovrebbe guardare al futuro. Anche per questo è necessario pianificare la successione studiando tutti gli elementi chiamati in causa nel processo. Ad oggi questo non accade quasi mai e le imprese arrivano impreparate al momento del ricambio ai vertici, con rischi importanti per il valore dell’azienda che può risultarne compromesso», aggiunge l'Avv.Palmieri. Per i padri è infatti complesso lasciare un’azienda in cui hanno investito tutte le loro energie per una vita. «Come consulenti bisogna anche comprendere le motivazioni che, ad esempio, spingono a ritardare la successione in azienda. Di frequente i titolari vorrebbero formalmente lasciare l’impresa ai figli e poi continuare nella gestione. Ed è una soluzione non praticabile», dice Palmieri.
Posto che il passaggio generazionale è delicato, insomma, l’unico modo per arginare i fattori di rischio è programmare la successione. La pianificazione dei passaggi generazionali del resto sta dietro al successo di colossi che hanno fatto la storia dell’imprenditoria. Realtà longeve come Falck, Michelin, Zegna, Mars, Miele, Hermes e Clarks. Imprese capaci di attraversare indenni almeno tre generazioni, mantenendo il controllo proprietario nelle mani dei discendenti del fondatore e coltivando il talento di alcuni familiari ben selezionati. Non esiste però una ricetta valida per tutte le aziende familiari. Ecco perché occorre valutare ogni situazione in modo diverso. «In primo luogo va fatta - dice Palmieri - un’analisi dell’azienda sia dal punto di vista del management sia da quello del mercato valutando punti di forza e di debolezza. Il secondo passo è poi passare ad analizzare la famiglia per capire da una parte la reale volontà dei padri di cedere il passo dall’altra la capacità dei figli di prendere le redini dell’attività».
E non è detto che si tratti dei primogeniti. La strategia per Palmieri è quindi valutare caso per caso superando anche alcuni stereotipi. Tra questi la tendenza a consegnare le chiavi dell’azienda al figlio maschio invece che alla figlia femmina magari più valida in termini di competenze o l’assunto per cui l’attività deve per forza rimanere in famiglia. «Spesso come consulenti dobbiamo mediare e riuscire a convincere gli imprenditori della necessità di dare in gestione l’azienda a un temporary manager piuttosto che ai figli o a qualcuno che possa affiancare le nuove generazioni nel passaggio di testimone», conclude Palmieri. Diversi studi dimostrano infatti che le aziende familiari con migliori performance hanno in media un consiglio di amministrazione più aperto verso persone e professionisti esterni e questa apertura cresce di generazione in generazione. Occorre quindi aiutare la vecchia guardia ad avere “il coraggio di scegliere” i propri eredi in azienda in modo strategico. Magari più con la testa che con il cuore.