Welfare aziendale: un’opportunità reale anche per le PMI
Sostegno al reddito familiare, misure di conciliazione vita – lavoro, strumenti di previdenza complementare: sono solo alcuni dei volti del welfare aziendale, ormai parte integrante di un nuovo patto tra azienda e lavoratore, vantaggioso non solo per i dipendenti ma anche per la parte datoriale. Merito, anzitutto, degli sgravi fiscali e contributivi introdotti dalla legge di Stabilità 2016 e confermati – e in alcuni casi ampliati - dalle successive manovre.
Il legislatore, con la legge di Stabilità 2016, ha reso strutturali gli incentivi fiscali per i premi di risultato definiti sulla base della contrattazione collettiva di secondo livello e ha riconosciuto ai lavoratori la facoltà di richiedere, in alternativa ai premi di risultato, la fruizione di un pacchetto di welfare aziendale, senza perdere i vantaggi fiscali connessi. La legge di Bilancio 2017 ha quindi potenziato il sistema, ampliando i beni e i servizi che possono essere oggetto di welfare, stimolando la contrattazione collettiva nazionale e territoriale a muoversi in questa direzione. Misure confermate dalle successive leggi di Stabilità garantendo così, sia all’azienda di poter dedurre i costi dei servizi offerti ai dipendenti dall’imponibile del reddito di impresa, sia al dipendente di poter beneficiare di beni e servizi completamente detassati. Da qui il vantaggio di convertire il premio di risultato in iniziative di welfare aziendale.
Attenzione, però, guai a pensare che il welfare aziendale possa essere interessante solo per beneficiare della leva fiscale. I programmi di welfare, infatti, possono fare bene al business di un’impresa in diversi modi: i dipendenti più soddisfatti sono anche più efficienti, si riduce il tasso di turnover e cresce l’attrattività verso le nuove risorse, specie nei confronti dei cosiddetti “millennials”, particolarmente attenti alle politiche di welfare tanto da ritenerle in alcuni casi anche più importanti della stessa retribuzione.
E allora, ecco un po’ di numeri utili a capire quanto e in che modo è diffuso il welfare aziendale in Italia. Generali Italia con Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni ha redatto il Welfare Index PMI 2019, rapporto con cui ha analizzato le politiche di welfare di 4.561 aziende, tra cui 1.600 microimprese con meno di 10 dipendenti.
Come noto, quello dimensionale è un tasto spesso dolente del welfare aziendale che si è sempre dimostrato più evoluto nelle realtà più grandi. «Molto spesso gli imprenditori delle nostre piccole e medie imprese non vedono di buon occhio l’introduzione di una politica di welfare, associandola a un dialogo “forzato” con le organizzazioni sindacali. L’attuale panorama normativo, però, – chiarisce il dott. Francesco Palmieri, Partner e Responsabile della divisione dedicata alla Consulenza del Lavoro di SCOA - permette l’attivazione del welfare aziendale sia mediante la sottoscrizione di un accordo sindacale sia tramite atti o azioni che esprimono l’esclusiva volontà del datore di lavoro come regolamenti aziendali o intese tra singoli lavoratori e azienda».
Così, per quanto le big restino le più attive, anche le PMI che adottano piani di welfare stanno velocemente aumentando, passando dalle 7,2% del 2016 alle 19,6% del 2019. Proiettate sull’universo di riferimento, si può quindi dire che circa 130.000 piccole medie imprese, in Italia, adottano politiche di welfare.
Il Welfare Index PMI 2019, in particolare, ha monitorato le iniziative di welfare delle imprese in dodici aree: previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita-lavoro, sostegno economico, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, sicurezza e prevenzione, welfare allargato al territorio e alle comunità. Sono considerate “imprese attive” quelle che hanno sviluppato iniziative in almeno 4 aree: nel 2016 erano il 25,5% e in tre anni sono raddoppiate, raggiungendo il 45,9%. Ancora più significativa è la crescita delle imprese “molto attive”, cioè con iniziative avviate in almeno 6 aree: tali imprese sono quasi triplicate, passando dal 7,2% del 2016 al 19,6% del 2019.
In cosa investono? Anzitutto in sicurezza, sanità e previdenza integrativa. Il 38,6% delle PMI, ad esempio, ha attivato iniziative nell'ambito della sanità complementare, il 3,9% delle imprese si è dotata di uno sportello medico interno, l’1,4% ha attivato servizi sociosanitari più specifici. Il 59,2% delle imprese italiane, invece, ha attivato iniziative nell’area della conciliazione tra vita lavorativa e familiare, all’interno della quale sono ritenute particolarmente rilevanti le opportunità di flessibilità organizzativa, praticate dal 36% delle PMI. Si aggiungono poi servizi e supporti economici ai lavoratori, come spese per trasporti e pasti (iniziative attivate dal 31,1% delle PMI).
Certo, il cammino non è ancora completo. La maggioranza delle PMI (54%), infatti, ha poca consapevolezza circa i vantaggi del welfare aziendale. Fondamentale è quindi un intervento informativo e consulenziale per far conoscere sempre di più il meccanismo «win-win» del welfare aziendale, strumento sempre più efficace per favorire la crescita dell’impresa. «Oggi più che mai le nostre imprese hanno il dovere di conoscere tutti gli strumenti necessari per competere con i grandi gruppi multinazionali che masticano queste tematiche già da tempo. – sostiene il dott. Francesco Palmieri. E conclude - È arrivato il momento di innovarsi anche nelle politiche retributive».