Lifelong learning: la formazione permanente per restare al passo con i tempi
Secondo il World Economic Forum, entro il 2022 spariranno 75 milioni di posti di lavoro. Allo stesso tempo, nasceranno 133 milioni di nuove opportunità professionali. Ciò significa, un saldo netto di 58 milioni di posti di lavoro. Il discrimine? Le skills. Ovvero: le competenze. Per non rischiare di restare indietro rispetto a questo straordinario cambiamento in atto, tanto le aziende quanto i lavoratori sono tenuti a investire in formazione. Non in semplici corsi di aggiornamento, ma in un vero e proprio programma permanente: il lifelong learning.
Sempre il WEF, nel Report presentato a Davos, evidenzia, infatti, come già oggi le ore impiegate dai processi produttivi di 12 settori industriali siano state compiute per il 71% dagli esseri umani e per il restante 29% dalle macchine. E si stima che nel 2022 le percentuali diventeranno, rispettivamente, del 58% e al 42%. Ciò vuol dire che grande dovrà essere il commitment delle aziende – a partire dai loro CEO – per far sì che si realizzi la migliore digital transformation, con integrazione delle competenze tra macchine e uomini. Il “reskill” è quindi oggi più che mai un imperativo: sarà fondamentale formare e aggiornare i lavoratori affinché possano gestire il cambiamento, sia a livello tecnologico che culturale.
Secondo il WEF, almeno 1 lavoratore su 2 dovrà aggiornare significativamente le proprie competenze. Tra questi, nei prossimi cinque anni, il 35% necessiterà di un training aggiuntivo di 6 mesi, il 9% di un training da 6 a 12 mesi, mentre il 10% dovrà aggiornarsi per più di un anno. E non si parla solo di “hard skills”, ovvero di tecnicalità, ma anche di “soft skills” quindi: problem solving, pensiero critico, personal branding, creatività, intelligenza emotiva, capacità di leadership e molto altro.
Lo stesso CEO di IBM, Ginni Rometty, riflettendo sull’impatto che l’avanzare dirompente della tecnologia sta avendo su gran parte delle imprese, ha parlato del rischio di una vera e propria “skills crisis” tale per cui il lavoro c’è, ma le aziende non riescono a trovare sul mercato le competenze di cui hanno bisogno. E l’Italia ne sa qualcosa: secondo il rapporto Excelsior – Unioncamere e Anpal, entro il 2020 saranno disponibili più di 2,5 milioni di nuove opportunità professionali che per il 70% prevedranno competenze piuttosto elevate e qualificate. Competenze che al momento risultano difficili da trovare, sia all’esterno che all’interno delle singole aziende.
Gli imprenditori sono quindi avvisati: il capitale umano è, oggi più che mai, l’elemento distintivo. Qualificarlo o ri-qualificarlo è un investimento che gioverà alla salute stessa dell’azienda. Oggi, e ancor di più, domani.